La Règia nel deserto - Aquile d' Africa


Un pò di storia


LA CAMPAGNA DEL NORD AFRICA


Alla fine degli anni 30, L'Italia dal punto di vista militare si trovava nel disastro totale: le armi erano scarse e di vecchio tipo, l’Aeronautica usava apparecchi antiquati, la Marina era indifendibile e mancante di portaerei. Per giustificare questa ultima mancanza Mussolini aveva affermato che la stessa Italia era da considerarsi una gigantesca portaerei. Le guerre di Etiopia e di Spagna avevano dimostrato i limiti dell’Italia, ma nessuna riforma sostanziale era stata apportata per modernizzare la struttura militare. La campagna d’Albania, risultata vittoriosa, aveva elevato notevolmente il morale, ma non coglieva l’autentica situazione militare. In realtà ben pochi sapevano che si era rivelata una tragedia. Lo sbarco si era svolto in una confusione indescrivibile, tra urla e sconquassi, con gente finita in mare con il rischio di annegare, navi impossibilitate ad attraccare perché non era stata calcolata la profondità dei fondali. Per questo i soldati furono trasportati a terra solo grazie a barconi richiesti ai pescatori locali. Scriveva Filippo Anfuso, allora braccio destro del ministro degli Affari Esteri Galeazzo Ciano: «Se gli albanesi avessero avuto anche solo una brigata di pompieri bene armati, avrebbero potuto ributtarci nell’Adriatico». Il Duce prese consapevolezza di questa arretratezza e obsolescenza di mezzi, quindi per prendere tempo in modo da organizzare le forze armate, prese una serie di lunghe trattative politiche che lo avrebbero legato alla Germania, e di conseguenza ritardando di qualche anno l'entrata in guerra. Ma la realtà fu ben diversa e il veloce impeto tedesco non poteva che accelerare le ambizioni di Mussolini. Le alte sfere delle forze armate sconsigliarono al Primo ministro l’entrata nelle ostilità in tempi brevi, ma questi vedeva la vittoria vicina e non si poteva permettere di astenersi dal tavolo della pace come vincitore. Dal balcone di Palazzo Venezia, quindi, il 10 giugno 1940 Mussolini, annunciando la dichiarazione di guerra, spronò i suoi generali ad attaccare sulle Alpi marittime contro i francesi e in Libia contro gli inglesi.

L'avanzata italiana

Governatore della Libia era il maresciallo dell’Aria Italo Balbo, già quadrunviro della Marcia su Roma e grande pioniere del volo italiano. Padre putativo dell’Aeronautica militare italiana, durante gli anni Trenta fu il protagonista di numerose trasvolate e crociere oceaniche, da Orbetello a Rio de Janeiro, poi da Roma a New York e Chicago. Mussolini, invidioso della popolarità dell’aviatore e timoroso delle possibili ambizioni antagoniste di Balbo, lo aveva mandato in una prigione dorata a Tripoli. Qui egli amministrò in maniera efficiente la regione sabbiosa, costruendo la costiera via Balbia e chiamando dalla Penisola 30.000 coloni per trasformare il deserto in piantagioni. Tripoli diventava così una bella e ridente città del Mediterraneo, centro nevralgico di importanti traffici e collegamenti con la Madrepatria.

Il maresciallo come politico e come comandante militare si lanciò in prima fila nei combattimenti. In un’azione di guerra il 28 giugno Balbo partì da Derna con il suo Savoia Marchetti 79, quando sul cielo di Tobruch, l’incrociatore San Giorgio aprì il fuoco e squarciò l’aereo su cui volava. La guerra per l’Italia si apriva con un grave lutto, quello di uno degli uomini più rappresentativi delle forze armate e del regime. Una fine tragica, avvolta nel mistero. Balbo troppo ambizioso e ribelle per restare nell’ombra del capo del fascismo. Un uomo scomodo tra i gerarchi e troppo irriverente verso l’ortodossia totalitaria, perché amico degli ebrei. Per Mussolini, l’unico capace realmente, per capacità e carisma, di metterlo fuori gioco e prenderne il posto. Per il suo alto senso dell’onore e della lealtà, fu rimpianto anche dai suoi nemici.

In sua sostituzione da Roma venne inviato come comandante del fronte libico il generale Rodolfo Graziani, veterano delle campagne africane fin dal lontano 1908. Negli anni Venti impegnato quale governatore della Libia nella cruenta repressione del ribellismo arabo, nel 1937 si era impegnato con rigore all’espiazione delle bande abissine in Etiopia e si era fatto una cattiva reputazione agli occhi dei locali, per i suoi metodi quanto mai brutali e selvaggi. Il Duce gli ordinò di attaccare, affermando che non era necessario arrivare a El Cairo, l’importante era intervenire nello sforzo bellico, perché la pace era alle porte e dopo la Francia anche la Gran Bretagna avrebbe presto capitolato. A Roma serviva solo l’eticchetta di combattente per collocarsi di diritto al fianco della Germania, al momento di salire sul carro dei vincitori.


Il 15 settembre le truppe italiane iniziarono l’avanzata a piedi, a tappe forzate di 40 km al giorno nel deserto. All’esercito non era fornito neanche un abbigliamento adeguato, se si volevano utilizzare mezzi di trasporto, bisognava chiederli a privati, perchè quelli militari erano in numero limitato. Per gli approvvigionamenti delle armi vennero ripuliti i musei: si usava il fucile del 1891, la mitragliatrice del 1914 e i cannoni delle battaglie dell’Isonzo. L’avanzata risultava faticosa anche con i carri armati, denominati dai nemici «mini tank», dagli italiani «scatole di sardine». Tali mezzi, piccoli, scomodi, deboli e lenti avevano in dotazione semplici mitragliatrici, buone solo a spaventare le piccole tribù africane sugli altipiani etiopici, non certo per uno scontro alla pari con le truppe britanniche in campo aperto. I soldati italiani sfiniti raggiunsero Sollum e Sidi El-Barrani, impegnandosi in opere di trinceramento. Il comando britannico del Medio Oriente del generale Archibald Wavell ordinò al generale Richard O’Connor il contrattacco; il 9 dicembre iniziò la potente offensiva di appena 30.000 uomini, coperta dalla buona copertura aerea della Raf.


Per l’Italia iniziava il momento critico; le difese di frontiera del forte Capuzzo erano inesistenti, i soldati non potevano neanche fuggire, per l’assenza dei mezzi. I britannici avanzarono spediti in Cirenaica, occupando Bardia e gli importantissimi porti di Tobruch e di Bengasi. La regione era perduta, la linea si stabilì quindi prima ad Agedabia, poi ad El-Agheila. Gli attaccanti non si fermarono per ragioni militari, ma solo perché i rifornimenti non erano veloci quanto l’avanzata. Il comando italiano era in crisi, il generale Annibale Bergonzoli venne catturato. Graziani venne deposto e sostituito dal generale Italo Gariboldi. Sul mare la situazione non cambiava; per i convogli la distanza era breve prima di raggiungere i porti libici, ma la caccia della Raf non aveva pietà. Nel cielo la situazione era catastrofica perché i velivoli non erano adatti al deserto e gli aeroporti sabbiosi. Il radar era inesistente, non vi era alcuna collaborazione tra flotta aerea e marina, fattore che provocava spesso, per errore, scontri tra le stesse Regia Marina e Regia Aeronautica.




La Règia nel Nord Africa

Alla Règia su questo fronte venne dato l'efferato compito di contrastare le rapide incursioni dei commandos inglesi, furono impegnati in questo compito gli S.M.79 e successivamente ottenendo più successo i Breda Ba.65, poi vi era qualche Fiat C.R.32 veterano delle battaglie precedenti ma obsoleto, basti pensare che gli inglesi già incominciavano a schierare caccia del calibro degli "Hurricane" di gran lunga superiori a più armati dei caccia anche della Luftwaffe nei primi periodi.si dovette attendere l'arrivo dei Fiat G.50 e dei Macchi M.C.200 per ristabilire un certo equilibrio. Anche se l'armata italiana era giunta sino a Sidi el Barrani nell'autunno già in dicembre i britannici costringevano gli italiani ad una prima ritirata dalla Cirenaica, l'aviazione dovette intervenire con rapide incursioni di contrasto, ma le truppe britanniche erano sicuramente di numero inferiore come organico, ma superiori in agilità e qualità degli armamenti. Le perdite furono enormi: Al momento dell'entrata in guerra, l'aviazione italiana poteva contare su una forza di 105.430 uomini, dei quali 6.340 piloti, e disponeva di 3.296 velivoli per impiego bellico, dei quali 1.332 bombardieri, 1.160 aerei da caccia e da assalto, 497 ricognitori terrestri e 307 marittimi, oltre a più di un migliaio di aeroplani d'addestramento; ciò nonostante solamente il 54% del totale era pronto per un impiego effettivo. I velivoli erano di tipi diversi e molti già abbondantemente superati, e l'industria aeronautica italiana, sia per la carenza di materie prime sia anche per manchevolezze organizzative, non riuscì a tenere il passo con quelle degli altri paesi in guerra. Dal giugno 1940 al settembre 1943 furono prodotti soltanto 10.388 aerei, non sufficienti a compensare le perdite subite; inoltre la produzione industriale fu dispersa nella costruzione di diversi tipi di aerei, invece che concentrarsi su pochi ma validi modelli.



Fiat C.R.32



I primi Fiat CR.32 a vedere impiego operativo nella seconda guerra mondiale furono quella quarantina di velivoli dislocati in Libia: a partire dal 10 giugno, infatti, i caccia del 2° Stormo effettuarono voli di protezione sulla città di Tripoli e sulla piazzaforte di Tobruk. La prima azione bellica fu quella dell'11 giugno, quando sette C.R.32 attaccarono (senza risultati) una formazione di bombardieri inglesi; solo due ore dopo, comunque, altri sei biplani italiani intercettarono una formazione di Bristol Blenheim abbattendone due e danneggiandone altri quattro senza riportare perdite. L'attività dei caccia del 2° Stormo continuò con crociere di protezione sulle città e lungo il confine tunisino, con scorte ai bombardieri ed anche con interventi diretti contro le forze terrestri avversarie, fino all'arrivo dei Fiat C.R.42. Dopo, i C.R.32 vennero trasferiti al 50° Stormo Assalto per essere impiegati assieme ai Breda 65 in missioni di attacco al suolo.  Contro i Gloster Gladiator inglesi si dimostrarono ancora validi. Nella grande battaglia aerea del 4 agosto 1940, i biplani Fiat della 160ª Squadriglia del capitano Duilio Fanali intercettavano quattro Gladiator guidati da Marmaduke "Pat" Pattle (destinato a diventare uno dei più grandi assi alleati, con circa 50 abbattimenti), che stavano attaccando dei Breda Ba.65 (uno dei quali pilotato dal futuro "asso degli assi" italiano, Adriano Visconti) impegnati a mitragliare automezzi inglesi. Fanali abbatteva il Gladiator (K7908) del Sergeant Kenneth George Russell Rew (RAF no. 526687), che rimaneva ucciso. Il suo gregario, il maresciallo Romolo Cantelli, faceva precipitare gli aerei del Flying Officer Peter Wykeham-Barnes (che si salvò e divenne un asso con 14 vittorie accreditate) e del Pilot Officer Johnny Lancaster. Furono usati per numereose manifestazioni aeree, molte delle quali tenute in Italia. In occasione delle visite di uomini di stato, il 4° Stormo, l'unità d'élite della Regia Aeronautica, basato a Roma, organizzava spettacolari esibizioni con formazioni di cinque o 10 aerei. Nel 1936, tali manifestazioni vennero replicate in altre città europee e, l'anno seguente, in tutto il Sud America. Il ritorno della squadra di piloti acrobati culminò in un grandioso spettacolo a Berlino. Le notevoli caratteristiche acrobatiche del C.R.32 e il suo indiscusso successo in Spagna diedero ai vertici della Regia Aeronautica l'errata convinzione che aerei con formula biplana avessero ancora un valido potenziale come macchine da guerra  anche quando ormai questo tipo di aereo era superato dai più veloci, più protetti - e meglio armati - monoplani. Questa scelta fece sì che allo scoppio del conflitto, i due terzi degli aerei da caccia della Regia Aeronautica fossero biplani. Il C.R.32 fu consegnato ai reparti da caccia dal 1935. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale erano in linea, infatti, 294 C.R.32 e 300 C.R.42, più del doppio dei nuovi caccia monoplani disponibili. L'unico caccia britannico rispetto al quale i biplani Fiat erano di prestazioni di poco superiori era il Gloster Gladiator, che però era più maneggevole ed aveva un numero doppio di mitragliatrici. L'ultimo biplano della RAF era, inoltre, nel 1940, ormai quasi del tutto rimpiazzato dai moderni Hawker Hurricane e Supermarine Spitfire, e questo prestava ancora servizio solo in aree del Mediterraneo e del Medio Oriente. Allo scoppio delle ostilità i C.R.32 erano in dotazione al 1°, 2°, 6° e 25° Stormo Caccia Terrestri ed alcuni Gruppi Autonomi. oltre che alla 410a e 411a Squadriglia Autonoma Caccia in Africa Orientale.



Manutenzione di un Fiat Cr. 32 in Africa
Capitano Mario D'Agostini, Medaglia d'Oro al V.M., posa con il suo Fiat CR.32 del 163a Squadriglia Autonoma Caccia Terrestre

Fiat CR.32 della 169a Squadriglia

Fiat C.R 32 del 50° Stormo 160° Squadriglia

Fiat C.R. 42 "Falco"

Viene considerato il migliore biplano di tutti i tempi,un simbolo di questa guerra,anche se era surclassato dai vari caccia sia alleati che della stessa Luftwaffe, il Falco se ben pilotato (e lo fù) era temibile su tutti i fronti. Il "Falco" fu subito accolto favorevolmente dai piloti italiani che anche all'estero godevano della fama di essere particolarmente abili nelle acrobazie. Se ne decise, pertanto, la produzione su vasta scala, in parallelo con i nuovi caccia monoplani (Fiat G.50 e Macchi M.C.200, con cui condivideva il propulsore). Il Falco sostenne come unico modello di caccia italiano tutta la prima fase della guerra in Nordafrica, a partire dall'11 giugno 1940. All'inizio del conflitto in Africa Settentrionale Italiana vi erano 127 C.R.42 suddivisi tra il 13° Gruppo (2° stormo) a Castel Benito, 10° gruppo e 9° (4° stormo) a Benina, inclusi gli aeroplani di riserva. E proprio sui fronti africani la macchina italiana ottenne le sue affermazioni migliori. I piloti del 13° Gruppo rivendicarono l'abbattimento di quattro Hurricane. In realtà l'unica vittoria aerea, attribuita al pilota Sergente Baldin (il cui aereo fu pesantemente danneggiato), fu quella ai danni dello Squadron Leader Dunn, che fu colpito e dovette compiere un atterraggio di emergenza. La RAF, da parte sua, rivendicava 5 "Falchi" distrutti, ma nessun Fiat era stato abbattuto. L'alto livello degli aviatori italiani - nota uno storico anglosassone - molti dei quali veterani della guerra civile spagnola, e la grande manovrabilità dei C.R.42, costrinsero i piloti degli Hurricane ad adottare le tattiche che i piloti dei Messerschmitt Bf 109 impiegavano contro di loro - evitare le mischie ed attaccare con improvvise puntate in picchiata. Nonostante le tattiche "mordi e fuggi", la mattina del 14 Aprile 1941, su Tobruk, il Sottotenente Franco Bordoni-Bisleri ed il Maresciallo Guido Fibbia della 95ª Squadriglia, equipaggiata con C.R.42, dichiaravano ognuno l'abbattimento di uno degli Hawker Hurricane che stavano attaccando gli "Stuka" italiani e tedeschi, in azione sulla baia della città assediata. Sette mesi dopo, il 26 novembre del 1941, il capitano Bernardino Serafini, comandante della 366ª Squadriglia, abbatteva un Hawker Hurricane pilotato dall'ufficiale pilota D. S. F. Winsland DFC, del 33° Squadron, un veterano della guerra sul deserto e in Grecia. E il 10 luglio 1942, un Falco rivendicava addirittura l'abbattimento di uno Spitfire. Ma erano gli ultimi successi del biplano italiano. Nell'aprile 1941, soppiantato dal Macchi M.C.200 Saetta, nel ruolo di intercettore puro, con la consegna dei primi 14 CR.42 Bombe Alari, il C.R.42 veniva impiegato per lo più come cacciabombardiere, rivelando un'insperata validità, grazie alla robustezza della struttura e alla resistenza del motore radiale ai colpi da terra. Il 19 giugno 1942, gli ultimi 82 C.R.42 lasciavano l'Africa e rientravano in Italia.


Fiat CR.42 della 162^ Squadriglia, 161° Gruppo Autonomo C.T. di base a Scarpanto, nell'Egeo, 1940

Altra bella inquadratura a colori dello stesso Fiat CR.42 della 162^ Squadriglia

Fiat Cr.42A.S. In volo su Ravenna, Primavera 1942
C.R. 42 4° Stormo Caccia con il sombolo "Gamba di ferro" del 6° Gruppo in onore di Ernesto Botto
che riuscì a completare una missione con l'arto completamente maciullato dai colpi di un caccia
avversario, tanto che gli venne amputata la gamba. M.O. Al Valore


Fiat G.50 "Freccia"

era un monoplano da caccia italiano sviluppato nella seconda metà degli anni trenta e reduce della guerra civile spagnola, in Africa settentrionale il Freccia operò intensamente. I primi 27 G.50 - appartenenti alle Squadriglie 150a e 152a del 2° Gruppo Autonomo C.T. - arrivarono in Libia il 27 dicembre 1940, dagli aeroporti di Brindisi e Grottaglie. Essi ebbero il primo scontro a fuoco con il nemico il 9 gennaio 1941. Quel giorno, il Capitano Pilota Tullio Del Prato, Comandante della 150a Squadriglia veniva attaccato, sulla linea del fronte, da un Hawker Hurricane Mk.I che danneggiava il suo "Freccia", costringendolo a un rovinoso atterraggio forzato, in pieno deserto. In seguito i G.50 - che operarono intensamente in Nord Africa, soprattutto nel corso del 1941, quando se ne ebbero da un minimo di 20 a un massimo di 80 in ottobre - riuscirono, a volte, a prevalere sull' Hawker Hurricane, più veloce e meglio armato. Il 25 gennaio 1941, una nuova unità, il 20° Gruppo Autonomo C.T., composto della 351a, 360a e 378a Squadriglie, comandato dal Maggiore pilota Pietro Bianchi, arrivava in Libia, con 31 monoplani Fiat nuovi di zecca. Una versione appositamente studiata per l'assalto, il G.50bis A, dotata di una maggior apertura alare e di un armamento più pesante, non fu riprodotta in grande serie. Ma nel ruolo di assaltatore venne impiegato attivamente fino a tutta la prima metà del 1943. Le ultime missioni operative dei G.50 assalto in Africa furono quelle della 368ª Squadriglia caccia basata a Sfax.


Il Fiat G.50 bis del Tenente Tullio De Prato, commandante della 150a Squadriglia, in volo sul deserto libico nel Giugno del 1940

Fiat G.50 di scorta ad una formazione di Messerschmitt Bf. 110, Nord Africa 1941

Fiat G.50 - Personale della 352 Sq. durante un momento di tregua, Cirenaica Agosto 1941





Macchi M.C. 200 "Saetta"


era un monomotore da caccia ad ala bassa prodotto dall'azienda italiana Aeronautica Macchi tra la fine degli anni trenta e l'inizio degli anni quaranta, Per il Macchi MC.200, il deserto è stato di gran lunga il teatro di operazioni più importante, per vastità di impiego e periodo temporale. I primi undici M.C.200 giunsero il 19 aprile 1941 a Castel Benito. Sono gli undici della 374a squadriglia alla guida del Cap. Favini. A fine giugno ne restavano solo nove. Seguirono, il 2 luglio, quelli della 372a, del 153° Gruppo Asso di Bastoni, il 2 luglio. L' 8 dicembre 1941, i Macchi MC.200 del 153° Gruppo si scontravano con gli Hurricanes del 974° Squadron. Nel corso di un violento combattimento aereo, il comandante britannino, Wing Commander Sidney Linnard DFC, RAF no. 40179 vide un Macchi che attaccava un Hurricane. I due aerei facevano strette virate e perdevano altezza. Linnard cercò di togliere il Macchi dalla coda del pilota Britannico, ma il Macchi, virando più stretto, aveva già colpito l'abitacolo dello Hawker. L'Hurricane colpito si capovolse e precipitò in picchiata sul deserto, esplodendo in fiamme, e uccidendo il pilota, l' "asso" (sei aerei distrutti) neozelandese della RAF Flight Lieutenant Owen Vincent Tracey.Il 20 luglio del 1942 arrivava a Tripoli il 18° Gruppo del 3° Stormo con le squadriglie 83a, 85a e 95a. Ventuno "Saette", in tutto, munite di due travetti portabombe alari del peso di 3 Kg., a somiglianza dei Fiat C.R.42 per carichi fino a 160 kg anche se spesso ne venivano agganciate quattro da 15 Kg. Le "Saette", seppure sostituite sempre più nel ruolo di intercettori dai più potenti Macchi M.C.202, affrontavano anche i primi quadrimotori Alleati. Il 14 agosto il Sotto Tenente Vallauri del 2° Stormo attaccava da solo quattro B-24 Liberator nel cielo di Tobruk, riuscendone ad abbattere uno. Il 23 agosto 1942, tre M.C.200 si lanciavano su un gruppo di Liberator e il Sergente Zanarini e il Sotto Tenente Zuccarini ne facevano precipitare uno. Il bilancio dell'unità, in quell'agosto, era di 198 aerei impegati in 394 ore su Tobruk, 1.482 ore di scorte a 77 convogli. Ma la superiorità alleata si faceva sempre più schiacciante. In ottobre i Macchi 200 perduti dal 2° Stormo erano dieci. All'inizio di novembre 1942 le "Saette" in prima linea - tra 2° e 3° Stormo - risultavano solo 15. Anche se surclassati in velocità e armamento dalle ultime versioni degli Hurricane, dai P-40 e soprattutto dagli Spitfire, i Macchi riuscivano ad ottenere ancora qualche vittoria. In novembre il Tenente Savoia e il Sergente Maggiore Baldi abbattevano due Beaufighter. Il Sergente Turchetti riusciva ad abbattere due aerei. Ma il primo dicembre il 2° Stormo aveva in carico solo 42 "Saette", delle quali 19 efficienti. Il 29 marzo 1943, nel settore di Gabes, in Nord Africa, 15 M.C. 200 intercettarono P-40 e Spitfire dichiarando 4 vittorie al prezzo di un atterraggio forzato.




Macchi C.200 con tettuccio scorrevole, del 1° Stormo, Trapani, Agosto 1940

Personale di terra mentre riarma le due Breda SAFAT da 12,7mm di un Macchi C.200 "Saetta" della 160a Sq. a Castelvetrano


Fase del rifornimento di un C.200 della 386a Squadriglia, 21° Gruppo, fronte russo, estate 1942


Macchi C.200 della 369a Squadriglia 22° Gruppo Autonomo Caccia. Krivoj-Rog, Fronte Russo, Settembre 1941


Specialisti al lavoro su di un Macchi C.200. Notare la paglietta d'ordinanza dei meccanici.


Macchi M.C. 200 del S.Tenente Giuseppe Biron "Bepi", Settembre 1941
22° Gruppo "Lo Spauracchio"


Aquile d'Assalto

Siai - Macchetti S.M. 79 "Sparviero"

Nel 1940 fu costituito a Gorizia il Reparto Sperimentale Aerosiluranti. Questo reparto, con soli 5 velivoli, venne trasferito in Africa settentrionale il 10 giugno 1940, e spostato ad El Aden, con l'obiettivo di attaccare la rada di Alessandria d'Egitto in contemporanea con i bombardieri, ma la conformazione della rada stessa e le condizioni meteorologiche non diedero risultati positivi. La grave inferiorità sul fronte terrestre obbliga subito all'impiego dei mezzi aerei in voli per la ricerca e l'attacco delle colonne motorizzate avversarie. Il 28 giugno succede un incidente: l'S.M.79 su cui vola Italo Balbo viene abbattuto a Tobruk per un errore della contraerea italiana dell'incrociatore San Giorgio. L'inchiesta stabilirà che i due S.M.79, arrivati su Tobruk appena dopo una incursione aerea britannica, non avevano effettuato i prescritti giri di riconoscimento sul campo, e vennero quindi presi di mira. L'apparecchio di Balbo venne abbattuto mentre l'altro, sul quale viaggiava il suo capo di stato maggiore, atterrò con danni minori. Nell'incidente trovò la morte Nello Quilici, giornalista e padre di Folco Quilici che ha scritto un libro sull'argomento.



Una coppia di S.79 del 104° Gr. B.T. di stanza a Scutari, in volo sui monti Grammos



Breda Ba. 65 "Nibbio"

Dopo l’impiego iniziale nell’Aviazione Legionaria, il Breda Ba.65 venne ben presto assegnato alla Brigata d'Assalto, costituita da 5º e 50º Stormo. Alla vigilia del conflitto mondiale la Regia Aeronautica aveva in carico 167 Ba.65, di cui ben 118 motorizzati con il Fiat A.80. Il Ba.65, in carico a diversi reparti d'assalto, ne vide solo uno immediatamente operativo all'inizio delle ostilità: la 159ª Squadriglia, su undici macchine, dislocata sull'aeroporto di Sorman, in Libia. L'evoluzione delle operazioni in Africa Settentrionale, e il disastroso esordio nelle missioni di appoggio tattico dei bimotori Breda Ba.88, preda fin troppo facile anche per i superati biplani Gloster Gladiator, e le scarse prestazioni dei Caproni Ca.310, portò nel novembre 1940 a bloccare la radiazione dai reparti dei vecchi Ba.65 e a richiedere con urgenza il trasferimento in Africa di tutte le macchine disponibili con motore Isotta Fraschini K.14 (Richiesta paradossale in quanto queste macchine erano già tutte in Africa). Questo nonostante fin dall’inizio il Ba.65 si fosse rivelato poco efficiente nell’impiego in zone desertiche. Comunque le poche macchine ancora adatte all’impiego operativo vennero rintracciate un po’ dappertutto e trasferite in voli diretti e a tappe in Libia. Qui furono attivissime nel contrasto dei mezzi motorizzati britannici, con l'impiego anche dei non apprezzati Ba.65 con motore A.80. Nel dicembre del 1940 erano presenti solo venticinque macchine. L'ultimo Ba.65 in servizio operativo fu perso durante l'offensiva britannica in Cirenaica nel febbraio del 1941. Entro la fine dello stesso mese, il personale superstite del 50º Stormo Assalto venne rimpatriato, dopo l'abbandono delle ultime macchine ormai logorate, e non più idonee al servizio, nei campi d'aviazione della Cirenaica.Tuttavia, il contributo dato da questa macchina nel rallentare le colonne di blindati e di autocarri del generale Archibald Wavell in marcia verso la Tripolitania fu notevole, e senz'altro più efficace di quello dato da altri apparecchi, per lo più caccia ormai superati come il Fiat C.R.32, trasformati in improvvisati assaltatori, o gli stessi Savoia-Marchetti S.M.79 certo inadatti all'attacco al suolo, ma ugualmente gettati nella mischia per far fronte al rischio tutt'altro che remoto della perdita della Libia.







Rarissima immagine di Nibbio durante operazioni sulla Libia





E siamo arrivati alla fine della breve carrellata di mezzi della Règia durante questo effimero capitolo della II guerra mondiale. Come poi accadde L'armistizio di Cassibile o armistizio corto, siglato segretamente il 3 settembre del 1943, è l'atto con il quale il Regno d'Italia cessò le ostilità contro le forze alleate nell'ambito della seconda guerra mondiale. In realtà non si trattava affatto di un armistizio ma di una vera e propria resa senza condizioni da parte di un'Italia ormai esanime.Poiché tale atto stabiliva la sua entrata in vigore dal momento del suo annuncio pubblico, esso è comunemente citato come "8 settembre", data in cui, alle 18.30, fu pubblicamente reso noto prima dai microfoni di Radio Algeri da parte del generale Dwight D. Eisenhower e, poco più di un'ora dopo, alle 19.42, confermato dal proclama del maresciallo Pietro Badoglio trasmesso dai microfoni dell'EIAR.


Gli uomini della Règia si divisero, era periodo di confusione e di tragedie, ma nonostante la penuria di mezzi essi seppero scrivere pagine gloriose della storia dell'aviazione, ricevendo anche l'ammirazione ed il rispetto dai più all'avanguardia piloti della R.A.F. - molti piloti inglesi sostennero che se la Règia avesse avuto macchine più moderne ed affidabili, le sorti di queste battaglie sicuramente non si sarebbero concluse a loro favore - mancarono i mezzi  non il coraggio.

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