Il volo a reazione in Italia (Parte 1) : I progetti del grande Sergio Stefanutti


Aerfer Saggitario II (foto: Aeronautica Militare)
Nell' immediato dopoguerra, in Italia, tra i vari settori produttivi che uscirono fortemente compromessi dalla Seconda Guerra Mondiale, quello industriale aeronautico, ubicato prevalentemente nel Nord, fu uno dei più colpiti.

Tutte le industrie del settore, anche se forti di una manodopera abbastanza qualificata, soprattutto dal punto di vista della lavorazione dei metalli e della meccanica, non erano in grado di poter garantire una minima produzione che li rendesse competitive in ambito europeo e mondiale.

La maggior parte del mercato era "monopolizzato" dalle industrie americane, che ebbero la possibilità, durante il periodo della guerra, di poter investire in progetti e ricerca. Fu proprio grazie al Piano Marshall del 5 giugno del 1947, che le nazioni sconfitte, ebbero l'opportunità di rimettere in moto le proprie industrie: il Piano Marshall prevedeva oltre che una serie di aiuti per elevare il tenore di vita della popolazione europea reduce da una lunga ed estenuante guerra, una serie di aiuti economici, volti a stabilizzare le condizioni finanziarie degli stati, e di conseguenza, promuovere e favorire il commercio con l’estero.

Ma altresì l’ European recovery programm (abbreviato in ERP – ossia la denominazione burocratica del Piano Marshall), si tradusse in una serie di aiuti anche militari dovuti essenzialmente alla “smisurata paura” da parte degli USA, che il comunismo di Stalin (che adesso era un nemico) potesse radicarsi in Europa, e soprattutto in Italia, dove il PCI era il partito più forte e numeroso del continente.

Così sui nostri aeroporti all'inizio degli anni '50 si potevano vedere con la nostra coccarda tricolore i  "mostri sacri" dell'aviazione militare americana, come il P-51 Mustang e il P-47 Thunderbolt, molti dei quali ebbero la possibilità di essere prodotti su licenza , questo permise di rimettere in moto velocemente la macchina produttiva italiana; ma quando giunsero caccia a reazione ultramoderni del tipo F-86E "Sabre"F-84F "Thunderstreack", F-84G "Thunderjet" e i ricognitori RF-84F "Thunderflash" , o gli addestratori T-33 "shooting Star" , l'Aeronautica militare fece un balzo in avanti gigantesco sia per numero di velivoli impiegati sia per modernità, ma paradossalmente, le industrie nazionali, ne trassero uno svantaggio abissale, e non potendo competere con le industrie americane, praticamente vennero a trovarsi in una situazione di "dumping" che le tirava fuori dal mercato.

Grazie all'esperienza acquisita nella costruzione su licenza di aerei sia per l'aviazione civile che commerciale e soprattutto, alla produzione di cellule anche per il mercato americano, le industrie nazionali, grazie alla partecipazione statale, poterono "accelerare" e costruire su licenza aviogetti militari nelle fabbriche nazionali, il De Havilland "Vampire" fu , di fatto, il primo caccia ad essere prodotto in Italia da IMAMFIATAlfa RomeoMacchi, caccia relativamente semplice ma questo permise di arrivare alla costruzione su licenza dell' F-86D "Sabre Dog" un caccia intercettore monoposto che era, per gli standard del tempo, paragonabile agli odierni F-22.

I progetti del grande Sergio Stefanutti



L'Ing. Stefanutti è stato un vero e proprio "outsider" nel campo delle progettazioni aeronautiche, un uomo che aveva gli aeroplani nel sangue, la sua forte passione aeronautica lo spinse a tentare la carriera di pilota militare, ma venne scartato per un problema ad un timpano che si ruppe durante un tuffo in mare. 

Ma gli aeroplani non lo abbandonarono mai, si laureò nel 1931 a Roma in ingegneria aeronautica, ed entrò nel Genio Aeronautico stavolta classificandosi primo su 220 concorrenti. 
Ufficialmente non fu mai dipendente di alcuna azienda del settore, da giovane ufficiale ingegnere del Genio Aeronautico progettò il primo aeroplano con "alette canard" della storia, il SIAI Ambrosini S.S.4 e si racconta che lo stesso Giovanni Caproni gli offrì l'assunzione presso le aziende del suo gruppo, ma decise di mantenere il suo impegno con la divisa dell'allora Regia Aeronautica, preferendo una collaborazione esterna, e così  fu per molte altre aziende italiane.

L'adesione alla RSI lo costrinse a lasciare il servizio nel dopoguerra, dedicandosi completamente ai suoi progetti, portandolo ad avviare presso la SAI il programma sperimentale per un intercettatore leggero a reazione denominato Sagittario II.

Le origini del Sagittario II

La SIAI Ambrosini, nel 1953 stava attraversando una crisi durissima, onde evitare di compromettere anche il programma, si decise di incaricare l'AERFER di Pomigliano d'Arco (Na) un'azienda che comprendeva un consorzio a partecipazione statale, di cui facevano parte IMAM, BredaFinmeccanica

Questa decisione fu voluta anche dalla stessa Aeronautica Militare che sul progetto iniziava a porre molte speranze, Stefanutti, venne assunto dall'AERFER in qualità di consulente esterno. 

L' ingegnere, iniziò a lavorare con quel poco che aveva: basti pensare che le gallerie del vento , ormai, nell'Italia del dopoguerra non esistevano più e le risorse erano molto limitate. 

Ciò che aveva a disposizione Stefanutti erano i suoi modelli costruiti negli anni '40, in particolare il suo S.7 prodotto dalla SAI Ambrosini che venne opportunamente modificato: Un primo modello (Prototipo n.1) venne costruito modificando l'ala bassa e a sbalzo dell' S.7, con una a freccia, divenne un biposto ma con motore a pistoni Alfa Romeo, un altro modello (Prototipo n.2) monoposto, venne costruito sostituendo il motore a pistoni con un turbogetto Turbomeca "Marboré" e modificando le ali con altre tipo a freccia più semplice, così da poter testare il comportamento aerodinamico della macchina ad elevate velocità.

Il prototipo n.1 venne chiamato "Freccia", il prototipo n.2 venne scelto come base iniziale per sviluppare il velivolo definitivo che venne chiamato "Sagittario I" o "Turbofreccia"

Il Sagittario I possiamo consideralo come il primo turbogetto costruito in Italia, anche se dal punto di vista costruttivo era "sui generis" ma molto funzionale: la presa d'aria era situata all'estremità della cellula, il cono di scarico sotto la pancia sotto l'abitacolo, il carrello era il classico triciclo con ruotino posteriore il quale veniva estratto mediante un meccanismo idraulico.

Il Sagittario I MM550 visto di profilo.

il motore era posizionato con un inclinazione di 20° rispetto l'asse longitudinale del velivolo, il 26 marzo 1953 effettuò il primo volo a Ciampino, anche se gli osservatori dell' Aeronautica ne furono entusiasti, era chiaro sia per l'AERFER sia per Stefanutti, che il Sagittario I fosse soltanto un modello di transizione o addirittura un banco di prova per raccogliere dati più precisi o meglio quello che ai tempi nostri viene definito col termine "dimostratore tecnologico".


Stefanutti ed il suo team, completate le prove con successo, decisero di rimettersi al lavoro, il passo successivo era quello di realizzare un velivolo capace di velocità transoniche, di conseguenza serviva un motore più potente e soprattutto una cellula completamente in metallo. 

Il disegno del prototipo N.1 venne completamente rivoluzionato nella forma e nella sostanza: il motore  Turbomeca Marborè  venne sostituito col più potente ed ottimo turboreattore centrifugo Rolls-Royce Derwen Mk.9 da 1630kg di spinta contro il 380/400 del precedente, l'ala a freccia di 45° piuttosto bassa, e gli alettoni (che occupavano il 34% della corda alare) erano "servocomandati", mentre i flap erano asserviti mediante un martinetto idraulico. 

L'abitacolo del pilota era pressurizzato e dotato di seggiolino eiettabile leggero Martin Baker Mk.4 completamente automatico; dietro al posto di pilotaggio si trovava il compartimento armi, costituito da due cannoni Hispano Suiza 825 da 30 mm. con canna di 70 calibri ad elevata velocità di tiro. 

Seguivano i serbatoi di carburante: quello principale da 500 lt. ed uno secondario da 400 lt. più altri due più piccoli nel musone e nella parte centrale dell'ala per un totale di 1.160 lt. Essi erano delimitati da paratie stagne ed erano pressurizzati. 

Il carrello era triciclo stavolta anteriore retrattile mediante dei martinetti, questo permise di evitare che il ruotino venisse cotto dal calore del reattore come spesso accadeva sul Sagittario I. Il motore aveva un angolo di 20° e la presa d'aria era sempre posizionata sul muso.


Nel 1955 al Salone di Parigi (annata storica anche per il mondo dell'automobilismo, quell'anno venne presentata per la prima volta la mitica Citroen DS) , allo stand dell' AERFER venne presentato un modellino aerodinamico del caccia di Stefanutti, lo stesso anno iniziava la costruzione del primo modello, l'anno successivo uscì di fabbrica il primo modello, che ricevette la MM.560, e fu battezzato Sagittario II.

Il Caccia a reazione italiano.

AERFER Sagittario 2 a Pomigliano.
Il SagittarioII MM.560 ai comandi dell' allora Maggiore Costantino Petrosellini, uno dei pochi in Italia ad aver esperienza sui velivoli a getto (già asso della Regia Aeronautica, e poi dell'Aeronautica Cobelligerante, volò con i Dassault Mystere al Centre d'Essais en vol di Bretigny in Francia, dove frequentò il Corso Piloti Collaudatori) .

il 28 marzo del 1956 eseguì una serie di rullaggi, intanto per far prendere dimestichezza col velivolo, successivamente per testare il motore a bassi regimi, ma si preferì spostare i collaudi dalla sede dell' AERFER da Pomigliano d'Arco, all'aeroporto di Pratica di Mare sede del Reparto Sperimentale Volo dell'Aeronautica Militare, ritenuta più idonea ai collaudi. 

A Pratica, iniziarono altri collaudi e venne modificato il muso con un disegno molto più allungato, ed altri test volti a testare il funzionamento del paracadute-freno, e il 19 maggio del 1956 sempre con ai comandi Petrosellini, finalmente il Sagittario II effettuava il suo primo volo, fu un successo, anche se durò pochi minuti. 

Ulteriori voli si svolsero i giorni successivi, tutti andati a buon fine, soprattutto quelli atti a testare il comportamento del velivolo alla velocità di stallo, ad alta velocità in quota, e l'avionica. L'aereo ormai era abbastanza maturo, per la presentazione ufficiale, infatti nel luglio del '56 venne presentato sia in mostra statica che in volo alla manifestazione aerea di Fiumicino.

Ma si sa, non tutto può filare sempre liscio, specialmente nelle progettazioni aeronautiche, al Sagittario 2 capitò una sventura qualche giorno dopo: durante un collaudo di routine, il compressore stallò e malgrado i vari tentativi di riprendere il velivolo, non ci fu nulla che l'abile Petrosellini potesse fare, che tentare un atterraggio di fortuna sul ventre, nell'aeroporto più vicino, il Leonardo da Vinci di Fiumicino. 

La vicenda si concluse con un grosso spavento e nulla più, anche se la cellula era danneggiata; la perizia tecnica stabilì che la causa fosse stata il perforamento della capsula del regolatore di flusso del combustibile. 

Tutti i migliori aeroplani della storia ebbero degli incidenti durante le fasi di collaudo, basti pensare che il primo volo del famosissimo F-14 Tomcat si concluse con l'eiezione del pilota e la distruzione dell'aereo. "A volte per paradosso è considerato di buon auspicio" [ndr].

Dopo questa parentesi negativa, iniziò la seconda fase dei collaudi, che vennero affidati al T.Col. Giovanni Franchini del Reparto Sperimentale Volo. 

Da quì in poi non fu storia ma leggenda: il 3 dicembre 1956 Franceschini fece due tentativi senza autorizzazione dalla torre di controllo (che non se la sentì di assumersi la responsabilità) di superare Mach 1 da 12.800 e da 9.500 metri di quota sul mare, superandoli; la notizia girò ufficiosamente in quanto si trattava di una iniziativa personale del pilota. 

Il giorno successivo, chiese nuovamente l'autorizzazione alla torre di Pratica di Mare di compiere un'affondata supersonica,  ma stavolta la ottenne, così Franceschini superò ufficialmente il muro di Mach 1 con un doppio bang: Salito a circa 13.500 metri di quota il pilota di tuffava a tutta manetta in verticale sul campo di Pratica di Mare mantenendo il velivolo quasi in candela fino alla quota di 5.500/6.000 metri. 

Unica conseguenza dell'impresa, furono alcune parti di vernice strappate dalla superficie dell'aereo dall' onda d'urto. Il 19 dicembre 1956 il maggiore Arthur Murray dell'USAF, pilota del Bell X-1A superava nuovamente Mach 1, purtroppo e non mi spiego il motivo, soltanto quest'ultimo episodio è quello che spesso viene ricordato dai libri di storia. 

Intanto a Pomigliano, vedeva la luce il secondo prototipo di Sagittario II il MM.561, quest'ultimo dopo le prime fasi di collaudo, servì per svolgere dei test con i serbatoi subalari, all'inizio si montarono delle taniche tipo F-86, ma poi vennero modificate, tutti i test furono superati brillantemente e senza particolari problemi.


L'aereo MM.650 venne presentato alla splendida manifestazione aerea svoltasi all'aeroporto di Linate nel luglio del 1957 il "MAB 57". Ma questo splendido giorno per tutti gli appassionati e non, risultò infausto per il team di Stefanutti: il velivolo durante l'esibizione stupì tutti, era splendido, il colonello Franceschini ormai se l'era cucito a dosso quell'aereo, looping, tonneau, picchiate e cabrate, voli rovesci, in  una coreografia di manovre che incantarono chi come mio nonno, che quel giorno, ebbe la fortuna di essere li. 
Al momento dell'atterraggio, come a voler quasi interrompere una magia, i flap iniziarono a funzionare male, i freni e il paracadute freno andarono in avaria, avviene un atterraggio così duro che l'aereo iniziò a rimbalzare per poi finire fuori pista, Franceschini uscì dall'abitacolo con le sue gambe e senza un graffio, ma il Sagittario II MM.560 ebbe la peggio. 

Stefanutti non si diede per vinto, anche se i detrattori del primo caccia italiano criticarono spesso il lavoro del team dell' AERFER, soprattutto per i lunghi tempi incorsi per i collaudi, e soprattutto per l'esclusione del Sagittario II dal concorso NATO denominato NBMR-1 (NATO BASIC MILITARY  REQUIREMENT N.1) del quale risultò vincitore un'altra eccellenza italiana creata dal grande Giuseppe Gabrielli il Fiat G.91 concepito in toto per rispondere a tale richiesta, e quindi senza rivale alcuno. 

Il Sagittario II era stato concepito come intercettore, successivamente ci furono alcune varianti per impiego tattico e cacciabombardiere, con piloni subalari ed ala adatta per questo compito, altro esperimento fu quello di agganciare sotto la fusoliera una specie di carrello motorizzato con un Allison J-35 da 2.600 kg. di spinta, ma fu una forzatura, il "Gina" (nome con il quale affettuosamente veniva chiamato il G.91) aveva la superba caratteristica di essere in grado di  decollare anche da campi erbosi e piste non preparate. 

Il velivolo di Stefanutti quindi a prescindere, non era decisamente idoneo al compito richiesto dalla NATO, purtroppo anche tra i comandi dell'Aeronautica Militare c'erano "esterofili" che avrebbero più apprezzato un prodotto americano piuttosto che italiano, ed obbiettivamente, forse avevano anche ragione, ma la scelta di un caccia intercettore di "concezione nazionale" avrebbe sicuramente contribuito allo sviluppo di un industria competitiva in questo difficile e competitivo settore.

Bibliografia/approfondimenti.

  • Paolo Ferrari - L' Aeronautica italiana, una storia del Novecento, Franco Angeli Editore.
  • Giuseppe Ciampaglia Dal SAI Ambrosini Sagittario all'AERFER Leone, IBN Editore.
  • I velivoli storici italianiI Jet dell'Aeronautica Militare dal 1960 al 2000, Ufficio Storico Aeronautica Militare (2003).
  • Italian Fighter Aircraft 1950 - 1959 : FIAT G.91, AERFER Sagittario II, Ariete, Leone, LCC Books (2010) in lingua inglese.
  • Harmond Carlyle Nicolao - Aerfer Sagittario II, Fighter Aircraft, Sound Barrier, Italian Air Force, Ambrosini Sagittario, Crypt Publishing.

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